Capita spesso che, per definire consensualmente un giudizio di divorzio, il coniuge economicamente più forte (spesso il marito) si chieda se non gli convenga corrispondere all’altro un assegno divorzile una tantum, ossia in un’unica soluzione (art. 9 bis L.898/1970 e succ. modif.).
In tal modo, infatti, egli potrebbe risolvere una volta per tutte i rapporti economici con l’ex, anziché impegnarsi a versare un assegno mensile, che magari in futuro potrebbe anche venire aumentato a seguito di un successivo giudizio di revisione.
Tra le varie valutazioni per decidere il da farsi, un aspetto da considerare è certamente quello fiscale.
E’ bene innanzitutto sapere che l’assegno divorzile una tantum non ha lo stesso trattamento fiscale dell’assegno periodico.
L’assegno mensile o periodico è, infatti, interamente deducibile dal reddito del coniuge onerato (art.10, comma 1, lett. c , DPR 917/1986), e ciò anche se corrisposto ad un ex coniuge residente all’estero.
Altrettanto non può dirsi per l’assegno divorzile una tantum, che è invece del tutto indeducibile in quanto considerato trasferimento patrimoniale (ordinanze Corte Cost. n.383/2001 e n.113/2007).
Per semplificare, se il versamento di un assegno periodico permette un recupero fiscale della somma versata (e quindi sostanzialmente un minore esborso) da parte del soggetto obbligato al versamento, la corresponsione dell’assegno una tantum non permette invece di recuperare fiscalmente alcunché.
Come la Corte di Cassazione ha più volte ribadito, la ragione del differente trattamento normativo dei due tipi di assegno sta nel fatto che trattasi di “due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore” (sent. Cass. n.29178 del 12.11.19; cfr. anche sent. Cass. 9336 dell’8.5.15).
Occorre infatti considerare che:
a) l’assegno periodico viene stabilito sulla base alla situazione economica delle parti esistente al momento del provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, per cui tale assegno può sempre venir modificato (in diminuzione o in aumento) qualora uno degli ex coniugi proponga successivamente un giudizio di revisione delle condizioni di divorzio;
b) l’assegno una tantum consiste invece in una somma concordata tra le parti allo scopo di definire in modo tombale i loro rapporti e pertanto non può essere più soggetto al alcuna revisione.
A quest’ultimo proposito è bene precisare che l’assegno divorzile una tantum rimane sempre indeducibile anche se le parti ne concordano il pagamento rateizzato.
Occorre infine segnalare che gli assegni periodici deducibili dal reddito dell’obbligato sono solo quelli previsti dall’Autorità Giudiziaria nei giudizi di separazione e di divorzio (o di loro revisione).
Di conseguenza, gli eventuali versamenti rateali che gli ex coniugi dovessero concordare, sia pure per iscritto, al di fuori della sede giudiziale (ad esempio, in una scrittura privata stragiudiziale) non saranno considerati oneri deducibili.
Anche l’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile dovrà, dal canto suo, valutarne le conseguenze fiscali, dal momento che:
a) in caso di assegno mensile ne vedrà tassato il relativo importo, essendo tale assegno assimilato al reddito di lavoro dipendente (art.50, comma 1, lett. i, e art. 52, comma 1, lett .c, TUIR), salvo che non venga superata la soglia di esonero fiscale;
b) in caso di assegno una tantum, invece, tale somma non sarà soggetta ad imposta.
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