Com’è noto, la Legge 104/1992 (meglio indicata come legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) detta i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza delle persone handicappate (art.2).
Per perseguire tali finalità, l’art.33 della legge ha previsto espressamente delle agevolazioni in tema di permessi lavorativi per il lavoratore dipendente (e solo per il lavoratore dipendente), consentendogli di poter usufruire mensilmente di alcuni giorni di permesso retribuito nel caso egli sia affetto da disabilità grave o debba prestare assistenza ad un suo famigliare (parente o affine entro un determinato grado) disabile o di età avanzata.
Poichè i permessi della Legge 104/1992 sono stati previsti dal legislatore, il datore di lavoro non può autorizzarne o negarne l’utilizzo.
Tuttavia il datore conserva il potere di controllare il proprio dipendente al di fuori del luogo di lavoro al fine di verificare se esso effettivamente usufruisce del permesso per le finalità previste dalla Legge 104/1992 o se ne abusa d per scopi diversi.
In quest’ultimo caso, infatti, i giudici di merito e di legittimità ritengono assolutamente legittima la sanzione del licenziamento per giusta causa del lavoratore, trattandosi di provvedimento del tutto proporzionale alla gravità del comportamento scorretto ed infedele del dipendente.
In tema di permessi della Legge 104/1992 di recente si è di nuovamente pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17102/2021.
Seguendo l’orientamento ormai consolidato, infatti, la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui “l’assenza dal lavoro per usufruire di un permesso ai sensi della l.104/1992 deve porsi in relazione causale diretta con lo scopo di assistenza del disabile, con la conseguenza che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari (Cass. n.17968/del 13.09/2016)”.
Nella fattispecie, la Corte ha sostanzialmente confermato le sentenze dei giudici di primo grado e di appello, i quali avevano ritenuto legittimo il licenziamento comminato ad un lavoratore che aveva usufruito dei giorni di permesso richiesti per assistere la madre, mentre in quei giorni egli si era invece recato al mercato, al supermercato nonchè al mare con la propria famiglia, evitando di stare presso l’abitazione della madre e ponendo quindi in essere “attività incompatibili con l’assistenza“.
Sul punto, giova ricordare anche l’analoga sentenza n.2743 del 30.01.2019 della Suprema Corte, la quale ha oltretutto evidenziato la completa irrilevanza del fatto che il lavoratore possa aver abusato del permesso una volta soltanto, “essendo sufficiente ai fini della configurabilità dell’abuso medesimo la sola presenza del ricorrente in altro luogo” (nella specie, la legittimità della sanzione espulsiva era dipesa dal fatto che il lavoratore si era trovato in località diversa da quella in cui si trovava la suocera, che con lui conviveva in un altro comune e della quale avrebbe dovuto prendersi cura in ragione dei permessi richiesti).
Quanto alla prova all’abuso dei permessi da parte del dipendente – prova che deve fornire il datore di lavoro – è indubbio che tale prova possa essere fornita ricorrendo all”attività investigativa, potendo il datore produrre in giudizio una relazione investigativa che attesti che il dipendente ha usufruito illecitamente del beneficio del permesso concessogli dalla Legge 104/1992, trovandosi egli in un luogo diverso da quello della persona da assistere.
Trattandosi di documentazione proveniente da un terzo, tale relazione dovrà essere confermata in sede testimoniale dall’investigatore che ha svolto l’attività.
La Corte ha inoltre precisato che la suddetta attività investigativa non viola l’art.3 dello Statuto dei Lavoratori (che impone al datore di informare il lavoratore di essere oggetto di controllo), non riguardando essa la vigilanza dell’attività lavorativa del dipendente, bensì il controllo del lavoratore al di fuori del luogo di lavoro, controllo da ritenersi “consentito perchè finalizzato all’utilizzo illecito del permesso ex l.104/1992” (Cass. 17102/2021).
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